Viaggio nel Motel mentale dei Fuera by Roberta De Rossi Lyrics
I Fuera compongono immagini. Brain Motel – come molti loro brani – è ricca di citazioni al mondo dell’arte, del cinema e della filosofia: i tagli di Fontana e il pendolo di Schopenhauer, accostati a Robert Neville di “Io sono leggenda”.
Il testo è un viaggio nel cervello di chi scrive, un trip di cui siamo resi spettatori e che i diversi momenti della strumentale registrano con precisione.
Il primo scenario proposto è la frustrazione di un’omologazione forzata, “sono stanco di mangiare in mezzo alle formiche, di parlare alla gente qua fuori come fosse in grado di ascoltarmi”. Un’incomprensione non solamente artistica, ma tipica di chi vorrebbe sopravvivere alle sovrastrutture in cui inconsapevolmente annega.
Vi è quindi un tentativo di non abbassarsi alla mediocrità, abbandonando i fallimentari tentativi di comunicazione con l’altro.
Apatia e insofferenza, tipiche delle generazioni post-sessantottine, che invogliano a rimanere “chiuso nella mia safe” ed allo stesso tempo rivelano il bisogno di emergere, per essere “libero di professione”. Una ricerca di libertà rispetto alla gabbia dell’alienazione, ai ruoli pirandelliani che si sceglie di non recitare.
L’obiettivo passa quindi ad inquadrare le stanze numerate del Brain Motel, dipinti delle differenti rappresentazioni di noi stessi, nascoste o palesi.
Il percorso si conclude qui, sfumando sulla ripresa di “cento luci accese”.
Il testo è un viaggio nel cervello di chi scrive, un trip di cui siamo resi spettatori e che i diversi momenti della strumentale registrano con precisione.
Il primo scenario proposto è la frustrazione di un’omologazione forzata, “sono stanco di mangiare in mezzo alle formiche, di parlare alla gente qua fuori come fosse in grado di ascoltarmi”. Un’incomprensione non solamente artistica, ma tipica di chi vorrebbe sopravvivere alle sovrastrutture in cui inconsapevolmente annega.
Vi è quindi un tentativo di non abbassarsi alla mediocrità, abbandonando i fallimentari tentativi di comunicazione con l’altro.
Apatia e insofferenza, tipiche delle generazioni post-sessantottine, che invogliano a rimanere “chiuso nella mia safe” ed allo stesso tempo rivelano il bisogno di emergere, per essere “libero di professione”. Una ricerca di libertà rispetto alla gabbia dell’alienazione, ai ruoli pirandelliani che si sceglie di non recitare.
L’obiettivo passa quindi ad inquadrare le stanze numerate del Brain Motel, dipinti delle differenti rappresentazioni di noi stessi, nascoste o palesi.
Il percorso si conclude qui, sfumando sulla ripresa di “cento luci accese”.