Relitto di Tristezza by ESANIMA Lyrics
Ho vegliato tutta notte al cadavere di Osiride
Adesso sono vedova
Adesso sono vedova
Bianca come la luna, aspiro ad annegare nella tua sfortuna
Pallida
Le tue braccia consumate sono storie vendicate
Sono lacrime di Dio
Consegnate nell'oblio, come pegno di un addio
Datata fu la vita, fu lavata poi vestita, sul vestibolo sopita senza più l'ardir fatica
Che il respiro flebile che d'acqua soffocare fu libidine repulsa che d'acqua ritornare
Dai dimmi, dove sono gli occhi del mio mare?
Ho letto sono ovunque, comunque ci sia nave
Ed è l'ora del soliloquio con il sottosuolo, quel solito colloquio senza spazio e senza luogo
Ma adesso, questo mare canta, quelle note cieche cui nessun altro vanta
E se l'oceano spirasse dove desta allora anche un'idea trova lume dove cessa
Labirinti di ramificazioni, quali istinti variopinti nel principio delle azioni
Ed ella canta con occhi semichiusi, danzante nei colori di mondi sconosciuti
Un lento astratto, epilogo adatto
Al diafano volto sua agiatà virtù
Siffatto il misfatto, che d'ode ritratto
Di genio e bellezza condanna ci fu
Raccontate ai morti una fiaba meno triste
Ed inventate loro qualcosa che non esiste
Di poter volare sulle proprie chimere
Lontano dal luogo dove tiranneggia il dispiacere
Cantate ai sordi l'inno della speranza
Siate la virtù che zittisce l'ignoranza
Adottate il privato più che un falso branco
E siate solitudine, siate la solitudine
Pupille come specchi rotti
Autunnali foglie cedono dai rami come gocce dai miei occhi
E' un'incantevole agonia dei sensi la malinconia dei vivi
I tuoi occhi cadono al di dentro, ma poi ancora ridi
Questa terra è nuda, è spoglia di vergogna
Lieta se non passa l'uomo con la sua menzogna
Ho spogliato il tuo scheletro e ti spezzasti
Mi presi per mano, poi mi gridasti:
"Concedimi la gola, relitto di tristezza, che invano cerchi morte, la morte è dentro te
Concedimi la gola, mia fredda vacuità, relitto di amarezza, prendimi l'anima."
"Se ci sediamo sulla riva degli istanti per contemplarne il passaggio, finiamo col non distinguervi altro che una successione senza contenuto, tempo che ha perduto la sua sostanza, tempo astratto, varietà del nostro vuoto
Per quanto mi aggrappi agli istanti, gli istanti si sottraggono: non v'è neppure uno che non mi sia ostile, che non mi ricusi e non mi significhi il suo rifiuto di compromettersi con me
Sguarniti, senza sostegni da nessuna parte, affrontiamo allora una sventura inusitata: quella di non aver diritto al tempo"
Ed era di prima mattina in cui qui vi si udiva di mala edizione
La maledizione nel nome del Padre del Male del figlio del quale vi fu aberrazione
Lo spirituale teneva tepore, tentando l'amore, morendo per ore
Quale educazione, azione d'ardore, adorare la morte Dio quale onore
L'altare ideale dove sposare il bene col mare era d'uso colmare, baciare concluso il solenne sacrale giurare
Passione, declino, emozione, rovinio, divino abominio rivivo e ne rido il principio d'amore, poesia di buon nome dividimi l'anima e strappami il cuore
Adesso sono vedova
Adesso sono vedova
Bianca come la luna, aspiro ad annegare nella tua sfortuna
Pallida
Le tue braccia consumate sono storie vendicate
Sono lacrime di Dio
Consegnate nell'oblio, come pegno di un addio
Datata fu la vita, fu lavata poi vestita, sul vestibolo sopita senza più l'ardir fatica
Che il respiro flebile che d'acqua soffocare fu libidine repulsa che d'acqua ritornare
Dai dimmi, dove sono gli occhi del mio mare?
Ho letto sono ovunque, comunque ci sia nave
Ed è l'ora del soliloquio con il sottosuolo, quel solito colloquio senza spazio e senza luogo
Ma adesso, questo mare canta, quelle note cieche cui nessun altro vanta
E se l'oceano spirasse dove desta allora anche un'idea trova lume dove cessa
Labirinti di ramificazioni, quali istinti variopinti nel principio delle azioni
Ed ella canta con occhi semichiusi, danzante nei colori di mondi sconosciuti
Un lento astratto, epilogo adatto
Al diafano volto sua agiatà virtù
Siffatto il misfatto, che d'ode ritratto
Di genio e bellezza condanna ci fu
Raccontate ai morti una fiaba meno triste
Ed inventate loro qualcosa che non esiste
Di poter volare sulle proprie chimere
Lontano dal luogo dove tiranneggia il dispiacere
Cantate ai sordi l'inno della speranza
Siate la virtù che zittisce l'ignoranza
Adottate il privato più che un falso branco
E siate solitudine, siate la solitudine
Pupille come specchi rotti
Autunnali foglie cedono dai rami come gocce dai miei occhi
E' un'incantevole agonia dei sensi la malinconia dei vivi
I tuoi occhi cadono al di dentro, ma poi ancora ridi
Questa terra è nuda, è spoglia di vergogna
Lieta se non passa l'uomo con la sua menzogna
Ho spogliato il tuo scheletro e ti spezzasti
Mi presi per mano, poi mi gridasti:
"Concedimi la gola, relitto di tristezza, che invano cerchi morte, la morte è dentro te
Concedimi la gola, mia fredda vacuità, relitto di amarezza, prendimi l'anima."
"Se ci sediamo sulla riva degli istanti per contemplarne il passaggio, finiamo col non distinguervi altro che una successione senza contenuto, tempo che ha perduto la sua sostanza, tempo astratto, varietà del nostro vuoto
Per quanto mi aggrappi agli istanti, gli istanti si sottraggono: non v'è neppure uno che non mi sia ostile, che non mi ricusi e non mi significhi il suo rifiuto di compromettersi con me
Sguarniti, senza sostegni da nessuna parte, affrontiamo allora una sventura inusitata: quella di non aver diritto al tempo"
Ed era di prima mattina in cui qui vi si udiva di mala edizione
La maledizione nel nome del Padre del Male del figlio del quale vi fu aberrazione
Lo spirituale teneva tepore, tentando l'amore, morendo per ore
Quale educazione, azione d'ardore, adorare la morte Dio quale onore
L'altare ideale dove sposare il bene col mare era d'uso colmare, baciare concluso il solenne sacrale giurare
Passione, declino, emozione, rovinio, divino abominio rivivo e ne rido il principio d'amore, poesia di buon nome dividimi l'anima e strappami il cuore